Libero. E’ una parola meravigliosa che ha ispirato grandi menti antiche e moderne, ma alle orecchie di Mattia Giorgi, 24enne di Piombino, deve essere sembrata come il canto degli angeli serafini.
Ma procediamo con ordine: tutto è iniziato il 17 Luglio scorso quando Mattia si è recato, come ogni giorno, ad innaffiare il suo terreno coltivato a canapa industriale, 2,5 ettari per un totale di 300 piante. Insieme a lui c’è Unai, il cane di razza amstaff che lo segue ad ogni passo e che, al minimo rumore sospetto, abbaia. Ciò è avvenuto anche quel pomeriggio, ma fuori dalla roulotte che utilizza come deposito per gli attrezzi non trova un amico venuto a fargli visita ma un agente di Polizia che, armato di pistola, gli ordina di legare il cane, pena il suo abbattimento immediato. Rimasto sorpreso per un’apparizione tanto inaspettata, Mattia chiede quale sia il motivo di una presenza delle Forze dell’Ordine nel suo terreno, non capisce cosa essi cerchino, ma la risposta non arriva.
L’ordine si ripete perentorio: legare il cane! Mattia prova a prendere Unai, per legarlo, ma non è cosa facile: il cane ha paura, e molta.
La Paura, un sentimento vecchio come il mondo che diventa in pochi lunghissimi secondi il protagonista assoluto della vicenda: Unai non si fa prendere e continua ad abbaiare mentre Mattia cerca di seguirlo per assecondare l’ordine dell’agente, sempre più inquieto. E’ in quel momento che, dietro la piccola autocisterna, compare un secondo agente, anch’esso armato. Il nervosismo dei due agenti è palese e l’ordine è chiaro: legare il cane o lo abbatteranno seduta stante, ma di motivi per la loro visita, neanche a parlarne.
La Paura, dicevamo, diventa qualcosa di diverso dalla semplice paura, palpabile come se ci si nuotasse dentro e penetra in profondità nell’organismo e nella mente. Mattia si sente in pericolo e anche Unai, quelle pistole sfoderate seppur puntate a terra atterrirebbero chiunque. In quel preciso istante, l’istinto di autoconservazione prende il sopravvento: l’occhio trova un pertugio di fuga tra i due agenti e ogni fibra muscolare si muove da sola. Mattia e Unai schizzano fuori dal terreno e cominciano una corsa forsennata tra i campi: i colpi in aria degli agenti non fanno altro che mettergli le ali ai piedi. Appena il tempo di suonare al citofono della casa dei nonni che il giovane viene placcato e sbattuto sul cancello. Le manette si stringono, fin troppo, sui polsi del ragazzo che viene portato via come fosse il peggior latitante d’Italia.
Da una perquisizione in casa di Mattia vengono trovate 6 piantine per uso personale, 9,5 grammi di marijuana che lui utilizza come medicinale per il fegato, la pelle e gli stati d’ansia e i documenti, perfettamente in regola, del terreno e delle 300 piante, con un tracciamento regolarissimo dei semi, delle foglie e delle infiorescenze, come previsto dalla normativa sulla canapa industriale, molto severa su questi aspetti.
Solo a quel punto vengono contestati reati a Mattia: detenzione, spaccio di stupefacenti e resistenza all’arresto; le 300 piante vengono fotografate, il campo posto sotto sequestro e le stesse saranno quanto prima analizzate per cercare ciò che in realtà non c’è, cioè un livello di THC superiore alla normativa vigente. A nulla servono i documenti perfettamente in regola, per Mattia scattano gli arresti domiciliari e una vita da recluso, in attesa dell’udienza preliminare.
L’udienza preliminare, laddove la Giustizia fa il suo corso, diventa una Caporetto per gli accusatori: le 300 piante sono perfettamente in regola, la documentazione ineccepibile affonda accuse troppo rapidamente lanciate, le piantine per uso personale non possono avere a tutt’oggi un livello di THC alto perché sono in fase di riposo vegetativo. Rimane la resistenza all’arresto, oltre a quei 9,5 grammi per uso personale, e anche su questo aspetto ci sarà da discutere nelle sedi opportune perché troppe sono state le lacune e gli interrogativi senza risposta.
E anche noi ci poniamo alcuni interrogativi:
– Se le Forze dell’Ordine avevano un qualsivoglia sospetto sulla regolarità dell’attività svolta da Mattia perché non sono stati messi in
moto tutti i controlli e i supplementi investigativi atti a dimostrare preventivamente l’eventuale condotta criminosa o il coinvolgimento di terzi?
– Perché l’operazione di controllo sul campo non è stata svolta seguendo precise procedure, come l’emissione di un mandato e una perquisizione svolta in condizione di sicurezza nei confronti degli agenti, con supporto di più pattuglie in modo da limitare al minimo eventuali tentativi di resistenza nei confronti della forza pubblica?
– Se, come è stato dimostrato, l’attività di Mattia risulta pienamente conforme alle leggi vigenti, perché non si è tutelato il cittadino onesto, attuando controlli amministrativi preventivi presso gli enti statali preposti?
Sembra oltremodo incredibile che un corpo di Polizia preparato e riconosciuto come tra i migliori del mondo come quello italiano possa essere incappato in così tanti errori, peraltro marchiani, trasformando una operazione di controllo in un gran pasticcio.
Le stesse operazioni di controllo e contrasto al narcotraffico che sono peraltro benvenute sia dai canapicoltori che da tutte le associazioni di categoria.
Nel frattempo il campo risulta sotto sequestro così come le piantine che Mattia aveva in casa. La nota positiva è che, se non altro, lui e i suoi familiari potranno continuare a curare le 300 piante di canapa industriale, evitando di aggiungere danno al danno.
Tuttavia, Mattia non molla: non solo provvederà a dimostrare la sua innocenza per i reati contestatigli ma continuerà a svolgere con passione il suo lavoro di canapicoltore. Certo, a volte parla la delusione “Viene voglia di abbandonare tutto e andarsene in Spagna“, poi la grinta del 24enne esce fuori e rilancia “Con l’aiuto della mia famiglia intendo aumentare le dimensioni della coltivazione e arrivare a qualche migliaio di piante. Non voglio rimanere limitato al piccolo mercato locale delle infiorescenze, il mio obiettivo è entrare nel comparto della bioedilizia“.
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